Pubblicato il: 28/06/2014 alle 08:17
Davide Pardo
Tutto era pronto per un altro scontro armato tra le cosche gelesi. Incomprensioni e scelte arbitrarie rischiavano di portare presto all’esplosione di una faida interna per la conquista della leadership ai vertici del clan Rinzivillo.
Le tensioni sarebbero state registrate tra l’ex reggente Roberto Di Stefano, 46 anni ex collaboratore di giustizia, ed il nipote, diventato il nuovo reggente della stessa organizzazione criminale, Davide Pardo, 33 anni. Di Stefano, nel 2013 aveva deciso di recidere i legami con la criminalità. Il blitz antimafia della Squadra Mobile di Caltanissetta è stato denominato in codice “Fabula”.
Un proposito che nel tempo venne meno, facendo venire a galla contrasti con Davide Pardo che, intanto, avrebbe assunto il comando della famiglia mafiosa. Di Stefano, una volta rientrato a Gela, avrebbe preteso di riprendere in mano le redini del clan e di essere nominato nuovamente ai vertici.
Roberto Di StefanoAccanto a lui sarebbe sempre stato Nicolò Piero Cassarà, considerato la ”longa manus” sul territorio, anche sul fronte delle estorsioni. I tre arrestati sono tutti di Gela, rispondono a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsioni, detenzione di armi e traffico di sostanze stupefacenti. Più in generale, l'organizzazione criminale guidata ora dallo zio, ora dal nipote, trasportava, commerciava e cedeva stupefacenti: dall’hashish alla marijuana; dall’eroina alla cocaina e non disdegnava le intimidazioni quando riteneva di dover far sentire la propria presenza sul territorio.
I colpi di pistola alle abitazioni non sarebbero mancati nemmeno quando diventò necessario imporre la riconquista del ruolo da “capo” della consorteria mafiosa. Nel corso dell’operazione della Squadra Mobile, le perquisizioni effettuate anche nelle abitazioni di altri soggetti, hanno permesso di recuperare numerose munizioni, 43 calibro 38 parabellum e 50 dello stesso calibro a salve, sul tetto di un condominio nel quartiere Macchitella di Gela, a conferma che il clan era ormai pronto a sparare.
Piero CassaràGli investigatori della Mobile, coordinati dal dirigente Marzia Giustolisi, hanno inoltre accertato che Di Stefano e Cassarà taglieggiavano imprenditori gelesi che avevano conti da saldare con la giustizia, facendo intendere di essere in grado di risolvere o addirittura compromettere le loro posizioni processuali. Un escamotage ben congegnato dai due complici. Due imprenditori, infatti, avevano denunciato di essere stati avvicinati da Cassarà che, presentatosi come “infiltrato” dei servizi segreti e amico di alcuni collaboratori di giustizia, aveva tentato di accreditarsi quale soggetto in grado di “alleggerire” la loro posizione avanzando nel contempo richieste di aiuto economico. A fronte della titubanza dei due imprenditori, Cassarà chiamava davanti a loro il collaboratore Roberto Di Stefano, appellandolo con il termine “compare” per attestare lo stretto rapporto di amicizia esistente, che confermava loro che avrebbe potuto fare quanto richiestogli da Cassarà, cioè rendere dichiarazioni a loro favore agli inquirenti. E Cassarà diceva agli imprenditori che da lì a breve sarebbe dovuto andare a trovare Di Stefano nella località segreta per mettere a punto i particolari e che sarebbe stato opportuno fargli avere del danaro, invitandoli nel contempo a contribuire alla spesa. E nei giorni successivi, Cassarà in modo pressante aveva insistentemente chiesto soldi agli imprenditori.
Prove schiaccianti sono le ricevute dei versamenti di denaro che erano stati fatti, i tabulati telefonici che documentavano i contatti tra Cassarà e Di Stefano quando il primo cercava l’abboccamento con l’imprenditore che doveva essere estorto.