Pubblicato il: 19/01/2021 alle 13:14
La collaborazione di Pietro Riggio, il nisseno che ha parlato di un attentato eclatante a Palermo contro il giudice Leonardo Guarnotta, e’ stato al centro dell’udienza del processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia. Sul banco dei testimoni davanti alla corte di assise di appello, presieduta da Angelo Pellino e Vittorio Anania giudice a latere, sono infatti saliti i due ufficiali della Dia che tra il 1999 e il 2002 utilizzarono per primi Riggio, ex guardia carceraria poi arrestata per 416 bis, come fonte confidenziale, e hanno ribadito la scarsa consistenza della collaborazione ai fini investigativi. In realta’ il generale Angiolo Pellegrino (allora colonnello) e il colonnello (all’epoca maggiore) Alberto Tersigni, avevano un altro obiettivo, ben piu’ importante: arrivare al boss Bernardo Provenzano. “Ero stato in servizio a Palermo, avevo collaborato con l’ufficio istruzione e con il giudice Falcone e avevo – ha detto Pellegrino – predisposto il primo vero rapporto sugli affari di Bernardo Provenzano, partendo da Pino Lipari. Per me Provenzano era un obiettivo sempre”. “Attraverso un tale Antonio Mazzei seppi che c’era una ex guardia carceraria, Riggio – ha proseguito – che avrebbe potuto fornire informazioni per arrivare a Provenzano. Informai di questo il pm Chelazzi e il 7 luglio 1999 mentre ero capocentro Dia a Roma, in questa sede, Chelazzi fece tradurre Riggio per incontrarlo”.
Qui la “ricostruzione” e’ meno chiara: Pellegrini informo’ Mazzei che si presento’ al centro Dia di Roma e, prima che fosse ascoltato dal pm, entrambi “casualmente parlarono con Riggio per sondare la sua disponibilita'”. Mazzei risulta essere un ex pregiudicato campano che avrebbe anche intrattenuto un rapporto di collaborazione esterna con i Servizi di sicurezza. Ma su questo Pellegrini non e’ riuscito ad essere preciso: “io non ho mai avuto a che fare con i Servizi, il contatto mi fu girato o da colleghi della Dia o dell’Arma territoriale”. Riggio divenne una “fonte” – ha spiegato – perche’ voleva rientrare nella polizia penitenziaria, una riabilitazione che avrebbe potuto ottenere se si fosse arrivati a catturare il boss corleonese. “Gli dissi chiaramente che era una fonte, non un collaboratore. Doveva essere come un ectoplasma: doveva osservare, ascoltare e riferire senza – ha detto – commettere reati perche’ nessuno lo avrebbe protetto”. Quando la fonte “Ugo” (il nome in codice di Riggio) riferisce che un suo conoscente, Giovanni Peluso (ex agente di polizia poi arrestato) gli aveva detto che doveva accadere a Palermo un fatto eclatante (senza mai menzionare il nome del giudice Guarnotta), Pellegrini avverte il procuratore di Palermo – Pietro Grasso – chiedendo di avviare intercettazioni telefoniche, che vengono negate per scarsezza di elementi. Cosi’ l’ufficiale della Dia nel gennaio 2001 avvia le intercettazioni preventive, durate quattro mesi, concluse anche queste con un nulla di fatto. L’unico apporto “concreto” – a detta sia di Pellegrini sia di Tersigni – fornito da Riggio fu l’informazione di una talpa nel palazzo di giustizia di Caltanissetta. “Ad un certo punto ci venne il dubbio sulle attivita’ che svolgeva, estorsioni, mentre era nostro confidente. Ho avuto qualche dubbio – ha detto Pellegrini rispondendo all’avvocato Francesco Centonze, difensore di Marcello Dell’Utri – e ho subito messo in allerta gli uffici. “Non corrisponde al vero quello che ha detto Riggio riguardo al presunto attentato al giudice Guarnotta – ha detto oggi Tersigni – se cio’ fosse avvenuto avrei compilato una relazione di servizio oltre a informare tutte i soggetti a vario titolo interessati”. Il processo e’ stato rinviato all’otto febbraio. (AGI)