Pubblicato il: 12/09/2013 alle 13:54
Ha deciso di rompere il silenzio e raccontare come stanno le cose. Perché lui, il maresciallo capo dei carabinieri, il quarantaseienne nisseno Giuseppe Sillitti ora in servizio a Foggia, s'è ritrovato inquisito e processato con altri tre colleghi perché sospettato di essere colluso col clan Cenicola-Riggi di Lucera. Di avere coperto gli esattori del pizzo, depistando le indagini su di loro manipolando verbali di imprenditori che denunciavano di essere vessati dal racket. Sillitti e i suoi colleghi oggi espongono la loro verità che ripetono da mesi, sostenendo di essere stati incriminati nell'inchiesta “Reset” per essersi rifiutati ad un ordine “atipico” – compiere una rapina per piazzare una microspia nell'auto di un malavitoso – che sarebbe stato imposto dal pubblico ministero Alessio Marangelli, lo stesso che per Sillitti ha chiesto la condanna a 6 anni di carcere alla Corte d'Assise di Foggia, ritenendolo responsabile di associazione a delinquere ed estorsione.
Accuse che si sono sgretolate presto, quando il Tribunale del Riesame di Bari prima e la Cassazione dopo ha annullato per mancanza di gravi indizi l'ordinanza di custodia cautelare al sottufficiale dell'Arma nisseno (difeso dall'avvocato Giacomo Grasso), poi reintegrato in servizio e assegnato alla Compagnia di Foggia dov'è tuttora effettivo. Giuseppe Sillitti, lo scorso 18 settembre, è stato coinvolto con altre 24 persone e ha trascorso 23 giorni nel carcere di Santa Maria Capua Vetere prima di essere scarcerato. E oggi, ad una settimana dalla sentenza, il sottufficiale di Caltanissetta ha voluto ribadire la sua innocenza, già manifestata ai giudici durante il dibattimento. Una deposizione non avara di colpi di scena.
“Marangelli – ha spiegato Giuseppe Sillitti in aula riferendosi al pubblico ministero – convocò nel suo ufficio me e il tenente Enrico Pozone dicendoci “ragazzi la microspia si deve mettere. Simulate una rapina, armi in pugno, mettetevi il passamontagna, rubategli la macchina quando entra o esce da casa, installate la microspia e poi gliela fate riavere”. Feci presente che il modello d'auto non era facile da aprire. Non sapevo se ridere o piangere – racconta il nisseno – ci guardammo in faccia col tenente e parlai io in quella circostanza. Dissi al dottor Marangelli che ero un maresciallo dei carabinieri, rappresentavo la legge e che non avevo mai fatto rapine né mai ne farò. Marangelli mi rispose “io ti dico di farla e tu la devi fare”. Allora dissi “lei non ordina niente e io non faccio niente. Lo metta per iscritto e faccia una delega””. Una riunione infuocata, secondo Sillitti, che ha spiegato di essere stato stato cacciato fuori dal sostituto Marangelli insieme al tenente Pozone, che ha confermato la circostanza al processo. Dopo aver ottenuto la libertà, Sillitti e i tre carabinieri hanno denunciato Marangelli per istigazione a delinquere alla Procura di Lecce e al Consiglio superiore della magistratura. Martedì sarà il giorno della verità.