Pubblicato il: 15/02/2023 alle 09:12
(di Umberto Lucentini, l'articolo completo sul Giornale di Sicilia di oggi) «Tu unni voi iri a travagghiare? E dopo un quarto d’ura mi sona u telefonu… E mi rice accussì: “Domani verso le quattru, vai ntà la via Quattro novembre alla Cassa mutua. Presentati nì iddu…». Quindici minuti di orologio per trovare un posto di lavoro, il regalo che Matteo Messina Denaro, «Iddu», allora non ancora latitante, fa alla zia Rosa Santangelo la sorella della madre Lorenza. Siamo nel 2013 quando l’intercettazione ambientale – rigorosamente in dialetto castelvetranese – capta il racconto di una vicenda che risale al 1993, prima ancora che il giovane diventasse un latitante ricercato per omicidio e negli anni per stragi.
La zia del boss, Rosa, sta parlando col fratello Giovanni: entrambi sono sotto osservazione perché gli inquirenti immaginano che in qualche modo abbiano contatti con il nipote ricercato. E la donna ricorda come Matteo, «Iddu», in pochissimo tempo gli ha trovato un posto di lavoro a Castelvetrano: una testimonianza inequivocabile del potere che la famiglia Messina Denaro, grazie al ruolo del capostipite, Francesco, era in grado di esercitare. Il verbale dell’intercettazione è depositato agli atti di un processo tenutosi a Marsala e terminato nel 2015, presidente Gioacchino Natoli, pubblici ministero Carlo Marzella e Paolo Guido. Sul banco degli imputati ci sono Francesco Guttadauro, Anna Patrizia Messina Denaro, altri tre fiancheggiatori del boss. E potrebbe ricalcare uno dei filoni di indagine che oggi Guido, diventato procuratore aggiunto e coordinatore dell’inchiesta guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, ha portato alla cattura di Messina Denaro: la pista dei soldi.