Pubblicato il: 27/02/2014 alle 19:03
Nella foto: Linda Legname, Francesca Panzica, Alessandro Mosca e Ornella Palmeri
Metti una sera a cena al buio. Non con la luce soffusa per riscaldare l'atmosfera, ma con il gelido black-out intorno a te. Smarrito nell'oasi dell'oscurità. Consapevole che sei capace di vedere ma non puoi scorgere quanto il tuo naso sia distante da te. Una sensazione da brivido, per chi come me  l'ha personalmente vissuta seppur per poco. Per una sera, al ristorante “Vicolo Duomo” di Caltanissetta, quindici persone si sono sedute alla stessa tavola per cenare. Via la luce. Un esperimento intenso che è stato organizzato dall'Unione provinciale dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus, per provare con i propri occhi – è il caso di dirlo – che cosa vuol dire non possedere la vista. E allora ti accorgi che ti senti in difetto quando entri in un locale buio, dove non filtra un filo di luce, le finestre e le porte coperte da spesse tende, perché per una sera devi immedesimarti in un non vedente. E' la settima cena che l'associazione organizza.
Un viaggio sensoriale seduto a tavola. Perché tocchi le posate, con le dita ti rendi conto se stai prendendo la bottiglia dell'acqua o quella del vino e se centri il bicchiere o no, con l'olfatto capisci se hai davanti un piatto di riso o una bistecca di maiale, perché con l'orecchio percepisci qualsiasi rumore e sonorità, magari quelli cui prima non facevi caso. Ad accogliere gli ospiti, incuriositi da questa cena fuori dal comune, ci sono due cameriere d'eccezione per questa serata speciale. Francesca Panzica, psicologa e docente di inglese in una scuola elementare di San Cataldo, e Ornella Palmeri, centralinista all'ospedale “Sant'Elia” di Caltanissetta e campionessa di scherma per non vedenti. Davvero impossibile chiamarle disabili.
Sono entrambe consigliere dell'Unione ciechi e al loro fianco, prima che i commensali si accomodino, Alessandro Mosca – presidente dell'Unione Italiana Ciechi di Caltanissetta – e Linda Legname – pedagogista gelese che ricopre l'incarico di vicepresidente dell'associazione e referente per l'istruzione – spiegano agli ospiti che cosa li aspetterà all'interno del ristorante di via Girolamo Gravina, a due passi dalla chiesa di Sant'Agata.
“Questa cena vuole mettere in risalto le diverse abilità, non le disabilità – spiegano i promotori dell'iniziativa – perché con gli occhi cogliamo l'85 per cento della realtà che ci circonda. Invece con la cena al buio stimoliamo anche gli altri organi sensoriali. Siamo tutti portatori rari di disabilità e la cena vuole promuovere le sensibilità di ciascuno di noi”. Fatta la premessa, si entra. Buio assoluto. Eppure Ornella e Francesca, quando prendono per braccio un ospite alla volta, si muovono senza problemi, senza sbattere contro tavoli e sedie. I vedenti, invece, arrancano. Si aggrappano forte alle due cameriere, altrimenti si sentirebbero smarriti. Sono loro a farli sedere a casaccio, lontani dal partner o dall'amico con cui sei arrivato. Già fuori è stato impartito l'ordine di disattivare i telefonini. La luce del display disturberebbe l'esperimento. Èarrivato il momento di ambientarsi. Capire la distanza tra te e le posate, i bicchieri, la posizione del tovagliolo. Il menu? Impossibile conoscerlo a priori, devi scoprirlo odorando portata dopo portata.
Trascorrono dieci minuti e vengo assalito da una forte ansia. Èla consapevolezza dell'angoscia che vive un cieco, l'immedesimazione di cui si parlava prima. Non riesco a stare un minuto in più là dentro con il buio a farmi compagnia per tutta la sera. Decido di alzarmi, chiamo Ornella e mi faccio accompagnare alla toilette dove accendo la luce. Ha capito tutto, lo percepisce dalla tensione che scorre lungo le vene delle mani che mi stringe. “Non sei il primo a cui succede, tranquillo…”, dice. Mentre lei mi rassicura, manifesto a Linda Legname l'intenzione di interrompere la cena ancor prima di iniziarla. Già, non ho ancora toccato cibo ma posso dire che l'esperimento è riuscito. Ho percepito il trauma di chi non ha gli occhi, di quanti colori e bellezze si perde, ma ho imparato che la loro grinta non è nelle pupille ma racchiusa nella testa. Nella grande forza di volontà di poter dire io non sono diverso dagli altri. Prima di lasciare il ristorante, mi viene chiesto di dare una testimonianza agli altri ospiti con i quali ho condiviso questo fantastico, indimenticabile, momento. Francesca e Linda mi stringono le mani perché dalle mie parole colgono l'emozione vissuta intensamente, seppur brevemente. Vado via a stomaco vuoto, ma col cuore zeppo di energia positiva. Esperimento riuscito.