“Vincenzo Arnone lo conoscevo da quando ero bambino perché abbiamo fatto la scuola insieme ma in un primo tempo non ricordavo se il certificato del mio matrimonio fu firmato come testimone da lui o da suo padre, Paolino, perché anche lui, come me, era minorenne. Al mio matrimonio hanno partecipato solo i compagni di scuola essendo un matrimonio riparatore e c’era anche lui. Mi sono sposato in fretta e furia a 17 anni e nel trambusto di quel giorno non ricordavo chi dei due avesse firmato. Queste circostanze le ho già riferite in un verbale nel 2011 alla procura di Caltanissetta”.
Lo ha detto Antonello Montante interrogato oggi, per la prima volta, nel corso dell’udienza del processo di appello sul “Sistema Montante” – in cui è imputato insieme ad altre quattro persone – nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. L’ex leader di Confindustria ha cominciato rispondendo alle domande dei suoi avvocati, Carlo Taormina e Giuseppe Panepinto, partendo dai suoi rapporti con Vincenzo Arnone e il padre Paolino, esponenti mafiosi di Serradifalco. Entrambi, come poi è risultato dal certificato di matrimonio di Montante, furono testimoni delle sue nozze.
Secondo quanto emerso nel corso delle passate udienze nel corso di una perquisizione in casa di Vincenzo Arnone, nell’ambito dell’operazione “Doppio Colpo” furono ritrovate anche delle foto che lo ritraevano con Montante al suo matrimonio e un’altra mentre erano insieme in Assindustria. Montante, si è soffermato anche, punto per punto, sull’attività svolta nella lotta alla mafia, sulle iniziative organizzate e sulle denunce fatte contro la famiglia Arnone e contro Dario Di Francesco. Attività svolta già nel 2013, un anno e mezzo prima che Cicero fosse ascoltato dalla Commissione Nazionale Antimafia. “Ho sempre collaborato – ha detto l’ex leader di Confindustria Sicilia – con le istituzioni e la magistratura per convincere gli imprenditori a denunciare”.