Pubblicato il: 01/11/2014 alle 17:01
Giuseppe Di Blasi
Cinque persone – tra medici e neurologi del centro di diagnosi e trattamento del carcere di Messina – indagati per la morte di Giuseppe Di Blasi, l'operaio nisseno di 46 anni impiccatosi nella cella del “Malaspina” il 27 dicembre del 2011. La Procura ha iscritto nel registro degli indagati i cinque nomi ma ha contestualmente chiesto l'archiviazione del procedimento, che in una prima fase era già stata respinta dal Gip di Caltanissetta Francesco Lauricella secondo il quale vi sono profili di responsabilità dei sanitari del carcere peloritano in cui l'ex operaio del canile era stato recluso per un periodo. Un braccio di ferro giudiziario che vede contrapposti i familiari del detenuto – assistiti dall'avvocato Massimiliano Bellini – e il pubblico ministero Elena Caruso che già prima – nel dossier senza indagati per omicidio colposo – non aveva riscontrato negligenze né omissioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria né da parte della direzione del carcere e dei medici. Ma dopo il dispositivo del Gip che imponeva approfondimenti su alcune posizioni, il pm ha indagato medici e neurologi ma ha tirato dritto per la propria strada ritenendoli estranei alle presunte omissioni sul trattamento sanitario nei confronti Di Blasi.
Anche stavolta l'ultima parola toccherà al giudice per le indagini preliminari, che potrà disporre l'imputazione coatta dei cinque indagati oppure archiviare il caso. Una vicenda controversa: la difesa dei familiari di Giuseppe Di Blasi si è sempre opposta alla chiusura del fascicolo, perché sostiene che il suicidio poteva essere evitato se l'uomo avesse ricevuto l’adeguata assistenza medica e psicologica considerato che per ben quattro volte il nisseno aveva tentato di uccidersi, tra cui il giorno precedente al ritrovamento del suo cadavere penzoloni dalle sbarre della cella. Di Blasi era detenuto per violenza sessuale su una minorenne, e in primo grado era stato condannato a 17 anni di carcere.
Tesi, quella esposta dal difensore, che il giudice per le indagini preliminari ha accolto nell'udienza in cui ordinò alla Procura di indagare sul personale sanitario delle strutture penitenziarie, ritenendo che “emergono potenziali profili di responsabilità in ordine ai professionisti medici che ebbero in cura Di Blasi sia presso il carcere di Messina e presso il Centro di diagnosi e trattamento” che “dovevano intervenire con adeguati sostegni psichiatrici sul paziente detenuto, sostegno che avrebbe dovuto e potuto essere risolutivo ove negato”.
L’avvocato Massimiliano Bellini aveva allegato agli atti del dossier una corposa documentazione in cui evidenziava numerose lacune anche nella tipologia di sorveglianza del detenuto gestita dalla Polizia Penitenziaria. Un’indagine difensiva che s’è avvalsa della collaborazione di periti psichiatrici e medici legali che hanno contestato le conclusioni esposte nelle relazioni cliniche elaborate dai consulenti della Procura.
Visite mediche non eseguite o svolte con ritardo dopo diversi mesi, somministrazione dei farmaci poco efficace e confusa, irregolare frequenza dei controlli psichiatrici su un detenuto a rischio, mancata applicazione della sorveglianza a vista di Giuseppe Di Blasi piuttosto che la grande sorveglianza. Ecco, secondo l'avvocato Bellini, le omissioni che devono avere uno o più responsabili. Peraltro una perizia disposta dalla Corte d’Appello di Caltanissetta che stava processando Di Blasi per gli abusi sulla ragazzina aveva suggerito il trasferimento del detenuto in una struttura sanitaria del circuito penitenziario perchè il nisseno fosse sottoposto ad un “trattamento farmacologico meglio gestito”.