Pubblicato il: 09/12/2024 alle 14:49
(Adnkronos) – “Il tema di fondo è che c’è una mancanza di figli e che l’Italia è campione d’Europa nel non avere figli. Dobbiamo fare una promozione della fertilità. La PMA non risolve il problema ma, come diciamo in Spagna ‘tutta la pietra fa parete’, ovvero la PMA può dare il suo contributo”. Il professor Antonio Pellicer, presidente e fondatore dell’Instituto Valenciano de Infertilidad (IVI), in un’intervista all’Adnkronos, parla dei passi in avanti fatti e dei prossimi obiettivi della ricerca nel campo della riproduzione. Lo fa partendo dai dati, che aiutano a individuare il perimetro nel quale muoversi. “L’infertilità è un problema che riguarda il 15% delle coppie in età fertile. Per quanto riguarda l’applicazione delle tecniche di PMA, la Spagna, insieme alla Danimarca, è il Paese che la utilizza di più. Un paragone facile: in Spagna la percentuale dei bimbi che nascono con la PMA è il 10% del totale, in Danimarca l’11%, in Italia il 4 o il 5%”. Il passo successivo è chiedersi quali siano i motivi di “un livello di penetrazione molto diverso”. Il tema, premette Pellicer, “non è economico, perché in Italia si può fare la PMA con il contributo pubblico attraverso le strutture convenzionate. Penso invece – prosegue – che ci sia un tema culturale che ha bisogno di tempo per essere risolto e si lega al tema della comunicazione, delle informazioni disponibili”. Anche sul piano normativo, ci sono differenze. “In Italia non si possono trattare le donne single e non è possibile la donazione degli embrioni: se una coppia ha avuto figli, non ne vuole avere altri e ha embrioni congelati non li può donare ad altre coppie perché non è autorizzata”. Pellicer parla di “una differenza sostanziale” perché “comporta due problemi addizionali: se gli embrioni congelati non si utilizzano si accumulano e questo, evidentemente, non è giusto; l’impianto di embrioni donati è molto meno costoso e contribuisce a risolvere il problema economico. Dobbiamo vederla come un’adozione potenziale“. Il fondatore di IVI vuole anche evidenziare che si sta parlando di un problema di salute. “Essere infertili dal 2008 è considerata una malattia per l’Oms. È un problema di salute come gli altri e si deve prendere con serietà. Dobbiamo dire che i medici servono per aiutare le persone. E con la PMA abbiamo fatto dei grandi passi in avanti”. Pellicer ricorda il film Joy, disponibile da pochi giorni su Netflix. Racconta la storia di Louise Joy Brown, la prima bambina nata da fecondazione in provetta il 25 Luglio del 1978 a Oldham, in Inghilterra. Questo anche per rassicurare tutti sulla totale equivalenza scientifica tra un figlio nato con PMA e uno con concepimento naturale. “I bimbi con la PMA si fanno dal 1978. Ci sono più di 45 anni di storia con milioni di bambini nati perfettamente sani nel mondo. Non esiste alcun rischio legato alla PMA diverso da quelli con il concepimento naturale. C’è solo una raccomandazione da farci, non rendere troppo grande la sfida alla natura: può avvenire quando in presenza di sperma ‘cattivo’ vengono applicate tecniche di PMA perché c’è il rischio di trasmettere malformazioni e patologie maschili”. Guardando invece alla ricerca, il professor Pellicer indica “due grandi sfide: la prima riguarda le percentuali di successo di ogni impianto. Un embrione sano oggi dà una possibilità di gravidanza che non supera il 65%, c’è ancora un 35% su cui si può lavorare. Non abbiamo ancora capito se l’embrione deve avere altre caratteristiche, oltre a quelle morfologiche e cromosomiche. Dobbiamo fare ricerca sul metodo di selezione embrionaria e scegliere gli embrioni che abbiano il potenziale massimo di portarci a una gravidanza”. L’altro fronte aperto, prosegue, “è il ringiovanimento degli ovuli. Iniziano a rovinarsi a 38 anni e a 45 anni nessun ovulo o quasi è sano. Dopo tanta ricerca, abbiamo capito che dobbiamo lavorare sull’ovulo. Mi auguro che un giorno saremo in grado di ringiovanire gli ovuli delle donne over 39”. Ultimo tassello dell’analisi di Pellicer, l’immancabile ‘orologio biologico‘. “Oggi considerando che la massima fertilità è a 24 anni, dobbiamo lavorare sul congelamento degli ovuli per il futuro. Non abbiamo un altro metodo e sarebbe bene che le ragazze diventassero più consapevoli della possibilità che hanno a quell’età di garantirsi un futuro sereno”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)