Pubblicato il: 17/01/2014 alle 16:55
Giuseppe Di Blasi
Non va archiviata l'inchiesta sul suicidio di Giuseppe Di Blasi, l'operaio nisseno di 46 anni impiccatosi nella cella del “Malaspina” il 27 dicembre del 2011. La Procura di Caltanissetta, in particolare il pm Elena Caruso, non ha riscontrato negligenze né omissioni da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria né da parte della direzione del carcere e dei medici. Ma i familiari dell'operaio non ci stanno, perché secondo loro il suicidio di Giuseppe Di Blasi poteva essere evitato se avesse ricevuto l'adeguata assistenza medica e psicologica considerato che per ben quattro volte il nisseno aveva tentato di uccidersi, tra cui il giorno precedente al ritrovamento del suo cadavere penzoloni dalle sbarre della cella. Di Blasi era detenuto per violenza sessuale su una minorenne, e in primo grado era stato condannato alla pena di 17 anni.
“Ci sono i responsabili, indagateli”
L'avvocato BelliniAdesso l'avvocato Massimiliano Bellini – difensore della famiglia di Blasi – ha presentato al Gip nisseno un atto di opposizione alla richiesta della Procura di chiudere il dossier senza indagati, allegando una corposa documentazione clinica che sconfessa la tesi del Pm, evidenziando numerose lacune anche nella tipologia di sorveglianza del detenuto gestita dalla Polizia Penitenziaria. Un'indagine difensiva che s'è avvalsa della collaborazione di periti psichiatrici e medici legali che hanno contestato le conclusioni esposte nelle relazioni cliniche elaborate dai consulenti della Procura.
I familiari: “Nessuna assistenza sanitaria su un detenuto a rischio”
Visite mediche non eseguite o svolte con ritardo dopo diversi mesi, somministrazione dei farmaci poco efficace e confusa, irregolare frequenza dei controlli psichiatrici su un detenuto a rischio, mancata applicazione della sorveglianza a vista di Giuseppe Di Blasi piuttosto che la grande sorveglianza. Ecco, secondo l'avvocato Bellini, le omissioni che devono avere uno o più responsabili. Peraltro una perizia disposta dalla Corte d'Appello che stava processando Di Blasi per gli abusi sulla ragazzina aveva suggerito il trasferimento del detenuto in una struttura sanitaria del circuito penitenziario perchè il nisseno fosse sottoposto ad un “trattamento farmacologico meglio gestito”.
La difesa: “Ecco tutte le omissioni dell'amministrazione penitenziaria”
“Sussistono tutti i profili di responsabilità dei medici, dei direttori delle case circondariali in cui fu ristretto il Di Blasi, del Comandante di reparto e degli agenti di polizia penitenziaria addetti alla sorveglianza”, è un passaggio dell'atto di 15 pagine in cui l'avvocato Massimiliano Bellini sollecita il giudice per le indagini preliminari ad approfondire alcune importanti circostanze.
“Èsin troppo evidente – rimarca il penalista nisseno – che la vicenda detentiva del Di Blasi sia caratterizzata dall'enorme numero di inadempienze e di errori valutativi e decisionali, sia in ambito sanitario che non, commessi a suo danno da parte del personale sanitario e amministrativo della struttura carceraria nonché da parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria”.
Insomma, per il difensore della famiglia Di Blasi il caso non va chiuso. Ecco perché chiede al Gip di effettuare le audizioni dei dirigenti sanitari e i medici delle varie carceri che hanno seguito Giuseppe Di Blasi e degli agenti penitenziari addetti alla sorveglianza, nonché di sentire a sommarie informazioni il comandante di reparto, i direttori delle carceri di Caltanissetta, Enna e Messina, il direttore del Dap e il direttore del dell'Ufficio dei detenuti e del trattamento del Provveditorato della Sicilia del Dap.
L'appello al Guardasigilli rimasto senza risposta
Severino e CancelleriLa famiglia di Blasi e l'avvocato Bellini non hanno mai smesso di ottenere giustizia per una morte che poteva essere impedita. Nell'aprile 2012 i familiari hanno portato a conoscenza del caso l'allora ministro della Giustizia Paola Severino, inoltrando un esposto-denuncia in cui sono state riepilogate le tappe della vicenda. Ma nessuna risposta è mai arrivata dal dicastero di via Arenula né dall'ex Guardasigilli Severino né dal suo successore, l'attuale ministro Anna Maria Cancelleri che s'è dimostrata particolarmente interessata alle condizioni dei detenuti nelle carceri italiane, come lei stessa ha ammesso durante l'intervento al Parlamento quando è stata tirata in ballo nel compromettente affaire Ligresti. L'ultima parola adesso spetta al giudice.