Il 2023 è l'anno delle donne. L'Italia per la prima volta ha un premier donna. Giorgia Meloni poco più che quarantenne, madre di una figlia è stata scelta dal popolo italiano. Senza volere entrare nel merito delle sue idee politiche, che molto spesso non condivido, non posso non riconoscere come questa donna, che ha cominciato a fare politica da quando aveva 15 anni, ha saputo mantenere intatta la sua identità fino a diventare il primo presidente del consiglio donna. Ricevuto l'incarico di formare il governo nell'ottobre dello scorso anno oggi siede con i Capi di Stato di tutto il mondo. Dall'altra parte c'è Elly Schlein, neo segretaria del più grande partito d'opposizione. Quarant'anni non li ha ancora compiuti e succede a Enrico Letta. È poliglotta quasi naturalmente, vista anche l'estrazione familiare, quando era al Parlamento europeo cercava di salutare tutti gli altri deputati nella loro lingua d’origine. Ma se in Italia la donna finalmente comincia a conquistare posizioni di potere, come mai fatto in precedenza, ci sono angoli del mondo dove le donne vengono trucidate perché lasciano un ciuffo di capelli scoperti da un velo. Ed è in particolare alle donne iraniane che voglio dedicare questa giornata. Se siamo venuti a conoscenza di quello che è accaduto a Mahsa Amini, la giovane iraniana che la polizia della morale ha picchiato a morte, a Teheran, perché non indossava bene il velo, lo dobbiamo a due coraggiose giornaliste, finite in carcere. Niloofar Hamedi, del quotidiano riformista Shargh, che è riuscita a entrare dentro l’ospedale dove la giovane stava morendo. E la dobbiamo, questa storia di percosse e morte che sembra uscire da un altro tempo e sta scuotendo il nostro tempo anche a Elahe Mohammadi. E’ stata lei a spingersi nel cuore curdo della periferia del paese, per documentare – che suono prezioso ha questa parola, nel nostro presente sommerso dalla post-verità dei social – la sepoltura di Mahsa Amini. E' così l'Iran è partito e nessuno sembra saperlo fermare. Per fortuna. Ma il regime iraniano non demorde e soffoca le studentesse, avvelenate a scuola e nelle università, un po' per ritorsione verso le proteste e un po' per disincentivare il diritto allo studio. E ancora l'Afghanistan dove le donne hanno gli stessi diritti che in quei paesi anno gli animali, cioè nessuno. Dove la donna non può nemmeno studiare, votare, guidare, uscire sola da casa. Stati africani dove le bimbe vengono rapite e date in sposa o usate come sollazzo per i soldati, o l'Ucraina dove le donne vengono stuprate per suggellare la conquista. E allora sì, oggi ha ancora senso parlare di festa della donna. Perché se da una parte del globo, a fatica, si sta finamente conquistando la parità di genere, dall'altra la donna vive una condizione di sottomissione e pericolo costante. E una conquista non è tale se non è universale. Rita Cinardi