Pubblicato il: 30/09/2024 alle 12:23
Dagli inferi all’eden in un istante. Da ergastolani a uomini liberi in un momento. Ma solo per due dei quattro condannati in primo grado al carcere a vita. Gli altri due no. Per loro l'ergastolo è confermato, così come, in appello, pure una terza condanna a 5 anni, a carico del giovane che avrebbe procurato il fucile usato dai killer per uccidere il trentottenne di Riesi, Salvatore Fiandaca, assassinato la mattina del 13 febbraio 2018, in contrada Spampinato, nelle campagne di Riesi.
Dal «fine pena mai» all’assoluzione per Gaetano Di Martino, 38 anni e Michael Stephen Castorina di 32 (assistiti dagli avvocati Vincenzo Vitello, Adriana Vella e Angelo Asaro) mentre restano confermati gli ergastoli per Giuseppe Antonio Santino, 23 anni e Pino Bartoli di 34 (assistiti dagli avvocati Giovanni Maggio e Michele Ambra) accusati di omicidio aggravato e porto di armi.
Rimane ferma la pena a 5 anni per il trentaduenne Loris Cristian Leonardi (assistito dagli avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci) ritenuto colui che avrebbe procurato ai sicari un fucile calibro 12.
I familiari della vittima (avvocati Walter Tesauro e Giovanni Pace) si sono costituiti parti civili.
Questo il verdetto emesso dopo sei ore di camera di consiglio dalla corte d’Assise d’Appello che alla fine ha accolto solo per metà il teorema dei sostituti pg Antonino Patti e Gaetano Bono, che al termine di una requisitoria fiume e altre repliche ieri mattina hanno chiesto per tutti gli imputati l’assoluzione.
La procura generale, infatti, ha messo in discussione l’intero impianto accusatorio alla base delle condanne in primo grado. Troppi i passaggi ombrosi, secondo gli stessi sostituti pg. Come, ad esempio, il ritrovamento di una cicca sul luogo del delitto e ricondotta a uno degli imputati – Santino in particolare – ma schiacciata in punta e contorta come se fosse stata spenta in un posacenere e non gettata in aperta campagna su un terreno peraltro bagnato dalla pioggia.
Così come dubbi sono stati ritenuti il luogo e le modalità con cui le microspie sono state montate sull’auto del vice coordinatore regionale di «Rete per la legalità – Sicilia». Lì, sulla sua auto, avrebbe ricevuto da un giovane rivelazioni sul delitto Fiandaca. Lo stesso “super teste”, che pur non essendo mai stato ascoltato nel processo di primo grado si sarebbe poi rivelato influente per quattro condanne all’ergastolo, citato in appello,
in aula, non ha confermato… «mi sono fatto delle convinzioni ascoltando le voci di paese e gli ho raccontato l’idea che mi ero fatto… e non ricordo che qualcuno sia venuto a casa mia per parlarmi dell’omicidio», ha poi spiegato alla Corte. Ammettendo che a quel tempo, oltre a essere stretto nella morsa delle depressione – come lo sarebbe a tutt’oggi insieme ad altre patologie psichiatriche – avrebbe anche fatto uso di ecstasy.