Pubblicato il: 24/01/2014 alle 18:22
Il costruttore nisseno Pietro Di Vincenzo ha perso la sua battaglia giudiziaria più importante. Riottenere il suo immenso patrimonio composto da imprese, quote societarie, conti correnti stimato complessivamente per 280 milioni di euro. E' stata la Cassazione, oggi, a rigettare il ricorso dell'imprenditore ex presidente dell'Associazione dei costruttori siciliani e della vecchia Assindustria, che secondo il teorema della Procura di Caltanissetta aveva accumulato illecitamente il suo patrimonio creando fondi neri attraverso la cresta sulle buste paga ai dipendenti. Accusa, questa, per la quale Di Vincenzo è stato condannato in appello per estorsione. La Suprema Corte ha quindi condiviso la ricostruzione del sostituto Pg della Cassazione, che chiedeva la conferma della confisca sancita dalla Corte d'Appello di Caltanissetta, e secondo il quale la provenienza dei beni di Pietro Di Vincenzo è frutto di una condotta illegale in questi anni.
Di contro, l'avvocato Gioacchino Genchi – legale dell'ex costruttore nisseno e un passato da superpoliziotto esperto in intercettazioni – ha chiesto l'annullamento della confisca del variegato “tesoretto”, ribadendo che finora Pietro Di Vincenzo non ha mai riportato condanne nè per mafia – dalla quale è stato assolto – nè per estorsione ai suoi operai. Inoltre la difesa, nel proprio ricorso, ha rilevato dei vizi di procedura nella sentenza di secondo grado in quanto vi sarebbe stata una incompatibilità dei giudici della Corte nella trattazione del procedimento patrimoniale e che non stati esaminati delle circostanze favorevoli al costruttore nisseno. Ma la Corte di Cassazione l'ha pensata diversamente e oggi ha definitivamente chiuso questo braccio di ferro giudiziario, disponendo che i beni dell'imprenditore ora passino nelle mani dello Stato.