Pubblicato il: 19/11/2021 alle 14:03
«Il dottor Guido Lo Forte nascose a Paolo Borsellino che il 13 luglio 1992 aveva firmato l'archiviazione dell’inchiesta su mafia e appalti. Mi oppongo alla richiesta della difesa di sentirlo in aula insieme a Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone». Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, e genero del giudice ucciso nell’attentato del 19 luglio del 1992, nel corso dell’udienza di oggi del processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta e vede imputati tre poliziotti.
«La testimonianza di Scarpinato non è rilevante – ha continuato il legale – perché non presente alla riunione, mentre Pignatone non era più titolare, a quel tempo, del fascicolo. Sono elementi che vanno riletti per approfondire, non in questa sede, ma in altre sedi, il comportamento di questi magistrati. Così come è stata formulata la richiesta, dal mio punto di vista è inaccettabile. Perché questo è un tema carissimo alla mia famiglia ma non è questa la sede. Se c'è la volontà di sviluppare questo tema basta il consenso ad acquisire due atti: l'ordinanza di archiviazione del giudice Lo Forte e la richiesta mandanti occulti bis».
L’avvocato Luigi Li Gotti, ex difensore del falso pentito Scarantino, racconta invece che «nel corso dell’interrogatorio al carcere di Pianosa, Scarantino parlava velocemente, era agitato. Nessuno gli dava suggerimenti anche perché, per mia prassi deontologica, non avrei firmato il verbale». Li Gotti nel giugno del 1994 venne nominato legale del falso pentito. È stato chiamato oggi a deporre nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio che si celebra in Tribunale a Caltanissetta nei confronti di tre poliziotti accusati di calunnia aggravata. «Durante una pausa – ha aggiunto il teste – mi disse che gli erano stati promessi 400 milioni delle vecchie lire e che sarebbe stato portato in una località protetta. Gli dissi che erano frottole perché dallo Stato poteva avere ciò che era previsto dalla legge. In un successivo momento, Scarantino in aula disse: l’unica persona che mi aveva detto la verità era l’avvocato Li Gotti».
A Pianosa, nel primo interrogatorio di Vincenzo Scarantino, «c'era anche Tinebra e fu lui a sollevare il problema di come evitare, anche con i suoi precedenti difensori, il rischio che si sapesse della sua collaborazione. Partecipai al primo interrogatorio che si svolse a Pianosa e ad agosto andai a Iesolo per un altro interrogatorio. Nell’autunno del 1994, dopo aver avuto problemi cardiaci, rinunciai alla difesa di Scarantino. Penso che la mia nomina fosse una conseguenza della mia non preclusione ad assistere collaboratori di giustizia in un periodo in cui non era vista di buon grado anche nell’ambiente forense. C'era un clima di perplessità sulle dichiarazioni di Scarantino, era un fatto reale».