Pubblicato il: 31/05/2024 alle 11:16
(Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Influenzato e un po’ manipolato. Così si è tratteggiato un teste chiave per un delitto. Un trentenne riesino che, seppur mai sentito in aula, attraverso intercettazioni tra lui e un terzo, sarebbe poi risultato determinante per cinque condanne in primo grado, di cui quattro all’ergastolo.
È in un recente verbale d’interrogatorio della procura generale che lui ha ammesso, però, di non sapere nulla sull’omicidio di Salvatore Fiandaca, ucciso a Riesi a colpi d’arma da fuoco nel febbraio 2018.
Eppure, come sottolineato dagli stessi due sostituti pg durante la sua audizione per l’assunzione d’informazioni, le conversazioni intercettate tra lui e un terzo hanno fortemente inciso sulle condanne al carcere a vita.
Non è mai stato sentito in aula perché in primo grado ha fatto scena muta, ora in appello non è stato ammesso dalla Corte perché imputato di reato connesso per un procedimento per droga a suo carico pendente ormai dal 2018.
Ma sentito dai due sostituti pg che rappresentano l’accusa nel processo d’appello per il delitto Fiandaca, il teste ha sconfessato i contenuti di quelle intercettazioni raccolte in auto mentre discuteva con una terza persona – nota e accreditata – che, talvolta, si sarebbe presentata in casa sua insieme a qualcuno in divisa. Ma non è il solo aspetto che, non soltanto dalla difesa, verrebbe visto come un po’ ambiguo.
«Era lui che cercava di suggerirmi certi argomenti», ha sostenuto aggiungendo poi «escludo che qualcuno sia venuto a dirmi che stava preparando l’omicidio Fiandaca qualche giorno prima del fatto… certo non posso escludere di aver detto quelle cose dell’intercettazione ma io all’epoca ero molto “fatto” e lui lo sapeva bene… Quelle cose che io posso aver detto non possono che essere mie idee, voci che correvano a Riesi… non penso che i killer siano così sprovveduti da venirmi a raccontare queste cose».
Sottolineando, in un altro passaggio «non ricordo in quale momento avrei fatto le confidenze sull’omicidio di Fiandaca, che neanche conoscevo… mi sono fatto delle convinzioni ascoltando le voci di paese e gli ho raccontato l’idea che mi ero fatto»
Poi ha spiegato che «ancor prima che mi facesse salire in macchina – su cui erano montate le microspie – mi parlava del delitto, riprendendo gli stessi argomenti anche dentro la macchina… io non mi rendevo conto di quali potessero essere i suoi scopi, queste cose le ho capite dopo».