Pubblicato il: 14/12/2023 alle 14:13
(di Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) È stata la Cassazione a blindare il verdetto. E la “signora di Cosa nostra” è finita in cella. E lì resterà per i prossimi 11 anni. Sì, perché la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il suo ricorso – così come di un altro imputato dello stesso processo – contro il verdetto d’appello che l’ha ritenuta boss di Cosa nostra a Riesi. Al fianco dei fratelli – già in cella da anni e in regime di carcere duro – ai vertici del clan Cammarata che prende il nome proprio dalla sua famiglia di sangue.
In carcere la sessantanovenne Maria Catena Cammarata riconosciuta colpevole, con sentenza ormai definitiva, per associazione mafiosa ed estorsione. Reati che le sono stati contestati con l’ordinanza di custodia cautelare dell’estate di cinque anni fa, legata all’operazione dei carabinieri ribattezzata «De Reditu» su mafia, omicidi, pizzo, droga e armi. Ora gli «ermellini» hanno messo in ghiaccio il pronunciamento emesso il 12 aprile scorso dalla corte d’Appello di Caltanissetta, quando Maria Catena Cammarata (assistita dall’avvocato Danilo Tipo) ha concordato la pena a 12 anni di reclusione, passando per l’intesa con la procura generale. Pronunciamento già in continuazione con una precedente sentenza di fine anni novanta, sempre per mafia e per avere favorito la latitanza dei fratelli. E lei, che si trovava agli arresti domiciliari, è stata rinchiusa in carcere.
Così come dietro le sbarre, al carcere di Caltagirone, è finito un riesino d’adozione ma che vive nelle campagne di Butera, seppur originario di Castelbuono, l’ottantaduenne Giuseppe «Peppino» Di Garbo (assistito dagli avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci) condannato senza più possibilità di replica per associazione a delinquere finalizzata alla coltivazione e traffico di marijuana e spaccio di droga, sempre per lo stesso processo «De Reditu». Anche in questo caso i giudici della Capitale hanno ritenuto non ammissibile la sua impugnazione della sentenza di appello
Peraltro gli stessi Cammarata e Di Garbo, ora arrestati sdai carabinieri, erano stati già condannati a risarcire il Comune di Riesi (assistito dall’avvocato Annalisa Petitto) costituito pure parte civile.