Pubblicato il: 30/12/2024 alle 14:51
L’accusa è di aver perseguitato moglie e suocero. Con tanto di minacce di morte e danneggiamento. Contestazioni, quelle a suo carico, che alla fine hanno fatto scattare un verdetto di colpevolezza, seppur con una pena assai inferiore rispetto alle richieste del pm.
Così il quarantottenne di San Cataldo, Salvatore Faulisi (assistito dall’avvocatessa Mariangela Randazzo) è stato condannato a 2 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione per stalking, danneggiamento e violazione di domicilio. A suo carico il pm Vera Giordano ha chiesto la pena a 5 anni e 4 mesi di carcere. Mentre la difesa, di contro, l’assoluzione da ogni imputazione.
Il gup Santi Bologna, che ha giudicato l’imputato con il rito abbreviato a fronte di una richiesta d’immediato da parte dell’accusa, lo ha pure condannato a risarcire le due parti civili secondo l’entità che verrà poi stabilita in un procedimento civile. Pronunciamento, quello emesso dal giudice, in continuazione con una precedente sentenza per atti persecutori, sempre ai danni delle stesse parti civili, ma ora riferite dopo il 27 luglio 2018, perché fino ad allora è già stato condannato con sentenza definitiva.
È dalla querela presentata da moglie e il padre di lei che ha preso corpo l’indagine che ha cacciato di nuovo nei guai il presunto «marito violento». Con una nuova fiammata di episodi violenti dal 2022 dopo un periodo di relativa calma.
Come quando, il 3 agosto scorso, l’imputato si sarebbe presentato in casa di moglie e suocero e li avrebbe minacciati con espressioni del tipo «vi scanno, «vi ammazzo», «vi svampo», perché gli era stato notificato un provvedimento di condanna sull’onda di una loro denuncia. Appena sei giorni dopo si sarebbe ripresentato in quella stessa casa per danneggiare l’auto del suocero prendendola a sassate.
Nel successivo interrogatorio di garanzia ha poi negato minacce o atti violenti nei confronti di padre e figlia, ridimensionando la questione all’essersi solo «limitato a dire fesserie con la bocca». Per Faulisi, questa, è solo l’ultima delle grane avute con la giustizia. Nel novembre di dieci anni fa, tra l’altro, è stato arrestato nel blitz «Enclave» che ha mandato in fumo un progetto di attentato al comandante della caserma dei carabinieri di Resuttano, perché con le sue indagini avrebbe “infastidito”. Sì, perché il maresciallo avrebbe nutrito sospetti su alcuni degli indagati per furti in una grossa azienda agricola confiscata perché in odor di mafia. Lì lavorava anche il genero del boss Totò Riina, Tony Ciavarello.