Pubblicato il: 30/01/2025 alle 16:35
Torniamo a parlare di Sanità e torniamo a farlo partendo dai dati forniti nell’articolo del 18 Gennaio 2025 su La Sicilia nella pagina della cronaca di Caltanissetta a firma di Enrico De Cristoforo, dove il DG dell’ASP 2 CL Dott. Salvatore Ficarra fornisce i numeri sulla pianta organica dei Dirigenti Medici dell’ASP. Secondo quanto da lui stesso affermato la pianta organica dell’ASP di Caltanissetta prevede 718 dirigenti medici, di questi ne risultano coperti 397, oltre a 69 contratti a tempo determinato (non sappiamo a che data facciano riferimento questi dati).
Riprendiamo questi numeri non per fare sterile polemica, ma perché, da quanto riportato dallo stesso DG Salvatore Ficarra, il quadro che emerge sulle condizioni della sanità nissena risulta quanto mai drammatico.
Da un calcolo spicciolo, fatto sulla base dei dati forniti dallo stesso DG, si rileva in pratica che la pianta organica dei dirigenti medici presenti nei Presidi Ospedalieri di tutta l’ASP è coperta per appena il 65%, il che significa che ipoteticamente ogni reparto è coperto come dotazione organica per circa i 2/3 e che ogni Dirigente Medico, svolge quotidianamente il lavoro di una unità e mezza “nell’ordinario”, quasi come se per mitosi lo stesso potesse replicarsi.
Vogliamo chiarire il senso del termine “ordinario”, perché “ordinario” implica una realtà quasi da favola, da mondo perfetto, perché ovviamente i dirigenti medici in servizio, sono esseri umani e come tali tra loro ci sono “persone” che per patologie hanno avuto riconosciute delle legittime limitazioni, per le quali sono stati esonerati dallo svolgere notti, servizi di pronta disponibilità/reperibilità, e non dobbiamo dimenticarci che proprio perché “persone” a volte anche i dirigenti medici si ammalano.
Per cui dinanzi a questo quadro già di per sé drammatico, vanno ad inserirsi anche queste problematiche, con evidente aumento dei carichi di lavoro per ogni singola unità in servizio e conseguentemente: aumento del rischio clinico, ritardo nell’erogazione dei servizi, aumento di casi di burnout e di infortuni sul lavoro, dovuti a stanchezza, sovraccarico di lavoro. Al di là dei numeri che sono evidentemente preoccupanti, e, che non riguardano solo i Presidi Ospedalieri, ma anche i servizi territoriali (Guardia Medica, branche specialistiche, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta), ciò che più allarma è la mancata
risposta alla crescente richiesta di salute da parte della popolazione che scaturisce da tutto ciò e che, non trovando risposte in primis sul territorio, si riversa inevitabilmente sugli ospedali.
Ospedali che, anni di politiche sanitarie dissennate fatte di tagli, mancati investimenti, privatizzazioni, esternalizzazioni, hanno indebolito sempre più il servizio sanitario non solo in termini di personale ma soprattutto in termini di posti letto. Riguardo al problema delle dotazioni organiche ci preme inoltre sottolineare che ci giunge voce che molte delle dotazioni organiche delle varie UOC non siano aggiornate, nel senso che in carico a molte UOC risultano dirigenti medici che da tempo sono stati assegnati ad
altre mansioni o ad altri incarichi e che quindi fattivamente non svolgono più la loro attività all’interno delle UOC cui risultano sulla carta assegnati, falsando di fatto la dotazione organica della UOC e non potendo di contro permettere l’avvio delle procedure di reclutamento del personale da parte dei direttori delle stesse UOC e degli uffici competenti.
Tornando al passato in tempi non sospetti avevamo dichiarato che le fatidiche case della salute sarebbero state delle “cattedrali nel deserto”, perché se già gli ospedali e i servizi territoriali sono carenti di personale chi pensavano di mandare a gestire queste strutture? Da anni lottiamo per la tutela del diritto alla Salute, per un Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio sanitario – pubblico, solidale e universale – a cui garantire le necessarie risorse economiche e organizzative ma soprattutto il personale: operatori e professionisti che possano realmente garantire il diritto alla cura di tutte e tutti, con salari adeguati, per
contrastare il continuo indebolimento della sanità pubblica, per recuperare i divari nell’assistenza effettivamente erogata, a partire da quella territoriale e dalle liste d’attesa, e valorizzare il lavoro di cura; ma per questo serve un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà della cura e di chi cura al fine di garantire la salute e la dignità delle persone non autosufficienti, la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, rilanciando il ruolo dei servizi della prevenzione. Avere una sanità pubblica vuol dire garantire le cure per tutte e tutti, in tutto il Paese, e
fermare la privatizzazione della sanità e della salute.
Il regionalismo differenziato in sanità ha finito col sancire normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute proprio quando il Paese aveva sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale era proprio quello “di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali”, Per la nostra democrazia non è più tollerabile che universalità, uguaglianza ed equità, i principi fondamentali del SSN, siano stati traditi e che i pazienti vivano oggi le conseguenze quotidiane di una sanità pubblica in perenne “codice rosso”: infinite liste di
attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure, riduzione dell’aspettativa di vita”.
Siamo dinanzi ad una CATASTROFE!!!!! E la catastrofe di cui parliamo, per riprendere una novella di Gabriel García Marquez, è come la cronaca di una morte annunciata, è stata fabbricata negli anni, con il concorso di migliaia e migliaia di persone in tutti i luoghi dove comandava la politica e in tutte le istituzioni dove la politica decideva cosa fare. Ma è stata decisa anche dalla sanità, cioè dalla nostra comunità tecnico scientifica. La sanità rispetto a questa catastrofe non è per niente innocente. Se avesse voluto si sarebbe opposta ma non si è mai opposta a niente. Ancora oggi manda giù e sopporta tutto. Chi in un modo chi
in un altro siamo più dei “compari” che “controparti” cioè più consociativi di quello che si pensa.
Quando parliamo di catastrofe in sanità non intendiamo un palazzo di trenta piani che si schianta a terra nella polvere con gran fracasso e ammazza un po' di persone ma intendiamo qualcosa di più lento, di più inesorabile e di più implacabile, cioè come se fosse una sorta di crisi ambientale che cambia piano piano le condizioni di vita degli esseri viventi mettendoli in pericolo. Per noi la catastrofe in sanità è la fine di qualcosa che come l’aria, l’acqua, se muore ha il potere di cambiare in peggio il mondo facendo strage delle persone più deboli e più vulnerabilI. Per noi la catastrofe in sanità è la morte del diritto alla salute, è la
privatizzazione della sanità pubblica, è l’esplosione delle ingiustizie, del cinismo economico, è essere governati da delle persone poco lungimiranti, è avere una politica sciatta e ignorante. Oltre naturalmente al problema delle liste di attesa, dei pronti soccorsi, del territorio, dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, degli ospedali, delle piante organiche senza operatori.
Per cui a gran voce ribadiamo:
Giù le mani della politica dalla Sanità una volta per tutte!!!
Rosanna Moncada
Segretaria Generale Confederale CGIL
Francesca C. Nigro
Segretaria CGIL Caltanissetta con delega alla Sanità