Pubblicato il: 01/10/2014 alle 10:39
Antonio Rinzivillo e Marco SalinitroCi fu la mano della mafia gelese nell'omicidio di Antonello Scaglione, il barista assassinato a Roma 24 anni fa. Lo ha stabilito il Gup del Tribunale di Roma condannando a 30 anni ciascuno il boss di Gela Antonio Rinzivillo e Marco Salinitro. Così ieri, dopo 24 anni dall’omicidio del trentunenne che gestiva il bar interno al circolo sportivo «Zeffiro country clu»b, in via Salaria, gli inquirenti sono riusciti a portare a termine un cold case senza apparente soluzione. Rinzivillo è stato riconosciuto come mandante del delitto, Salinitro come uno dei sicari.
Un caso irrisolto che era stato riaperto solo nel 2011, grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Rosario Vizzini, ritenuto, lo scorso giugno, responsabile dell’omicidio Scaglione, anche se a salvarlo era intervenuta la prescrizione. La legge relativa ai collaboratori di giustizia prevede infatti dei tempi di prescrizione del reato molto vantaggiosi nei confronti di coloro che si sono pentiti.
Vizzini aveva spiegato agli inquirenti che la decisione di uccidere Antonello Scaglione era stata sentenziata ed eseguita perché la vittima era stata ritenuta colpevole di aver sottratto un carico di eroina che, in qualità di corriere, gli era stata affidata. L’omicidio fu deliberato anche perché Rinzivillo, già latitante, riteneva che il gestore del bar potesse rivelare agli investigatori informazioni utili alla sua cattura. Il 21 ottobre del 1990, un commando giunto dalla Sicilia approdò a Roma. Arrivati in via Salaria, i killer esplosero otto colpi d’arma da fuoco, colpendo Scaglione alla testa e al torace.
Dopo l’esecuzione gli assassini si diedero alla fuga a bordo di una Ford Taurus rubata ma giunti nei pressi dello svincolo per Fidene furono coinvolti in un incidente stradale e abbandonarono la macchina in una scarpata, sempre in via Salaria. In seguito, sul mezzo, oltre le pistole utilizzate per l’esecuzione, furono rinvenute tracce ematiche, sangue probabilmente dovuto alle ferite conseguenti lo scontro in auto. Ad incastrare definitivamente i due gelesi è stato infatti il Dna, il sangue presente nell’autovettura aveva infatti portato i militari del Ris dei carabinieri di Roma a identificare Marco Salinitro, uno dei due imputati condannati ieri. Del resto, all’epoca dei fatti, il clan Rinzivillo, facente capo alla famiglia siciliana dei Madonia, si era stabilito nella Capitale. Antonio Rinzivillo pensava di scappare alla guerra mafiosa degli anni ’90 e ai conseguenti arresti rifugiandosi in un covo romano, a Prima Porta. Contrariamente a ciò che il boss pensava, gli uomini del nucleo investigativo di via In Selci lo avevano arrestato nel dicembre del 1990.