Pubblicato il: 09/03/2015 alle 09:20
In determinate fasi del ciclo di vita familiare è possibile che i genitori richiedano “l’aiuto” di uno psicologo nella gestione della loro relazione con i figli. In questi casi non si parla di una vera e propria psicoterapia, ma di un sostegno psicologico che faccia da “facilitatore” e possa contenere crisi e attivare cambiamenti a volte anche fisiologici che via via tutte le famiglie affrontano, o che determinate famiglie in particolari situazioni si trovano a dovere fronteggiare.
Per capire meglio le dinamiche che si innescano abbiamo chiesto il parere della dottoressa Claudia Giammusso, psicologa e psicoterapeuta del centro di consulenza e terapia familiare cooperativa sociale Controluce.
“Può capitare che i genitori richiedano l’aiuto di un esperto per comprendere meglio come rapportarsi ad un figlio adolescente, e in questo senso l’adolescenza può essere un momento particolarmente delicato per molte famiglie, o può accadere che avvenga un evento che stravolge l’equilibrio familiare e richiede un supporto nella gestione dei figli, come ad esempio separazione dei coniugi, ricostituzione di nuove famiglie, eventi traumatici o lutti”.
Le situazioni che possono portare a richiedere l’intervento di un esperto sono molteplici e spesso ciò può accadere anche se un vero problema di fondo non c’è. Capita, infatti, che genitori si rivolgano ad uno psicologo semplicemente per confrontarsi e avere dei feedback su come si stanno rapportando ai figli, come una sorta di “supervisione della relazione”. Questo non accade di frequente poiché, inutile negarlo, non c’è ancora la cultura dello psicologo e si tende spesso a fare l’equazione: “psicologo = sono pazzo”, quando invece potere ogni tanto consultare un esperto delle relazioni può essere una grande risorsa e proteggere da future crisi o affrontarle con strumenti in più. A pensarci bene siamo tutti molto attenti a fare periodici controlli medici per prevenire possibili patologie, ma non pensiamo mai a “controllare” , riflettere, verificare che le nostre relazioni familiari siano appaganti, nutrite, solide”.
Il sostegno alla genitorialità, nella mia esperienza clinica, si traduce essenzialmente in tre aspetti, che indagano le relazioni su tre livelli di profondità, dal più concreto e superficiale al più profondo ed è poi l’alleanza con i genitori e il loro grado di coinvolgimento e collaborazione nel lavoro psicologico a stabilire quanto in profondità possiamo spingerci.
Il primo livello è quello psico-educazionale, ovvero partendo da episodi di vita familiare, attraverso domande, role playing (mettiti nei panni di … parla come se fossi …), si riflette insieme su quali siano le modalità migliori di rispondere ai bisogni dei figli e della famiglia in quelle situazioni, cosa altro si potrebbe fare, quali sono i messaggi impliciti che circolano in famiglia, offrendo un aiuto pratico e alcune nozioni cliniche e psicologiche che possano far loro comprendere ciò che sta accadendo (ad esempio: cosa comporta l’adolescenza in termini fisici e psicologi per un ragazzo).
Il secondo livello è quello più emotivo-affettivo dei genitori, ovvero come quel determinato comportamento del figlio li fa sentire? Quali emozioni circolano in famiglia quando si attiva un particolare comportamento? Cosa il genitore prova nei confronti del coniuge quando ci sono delle difficoltà e come questi potrebbero sostenersi a vicenda? (ad esempio: Come si sente un genitore quando un figlio adolescente lo provoca? Come gestisce la rabbia? Come affronta il conflitto? Come vorrebbe essere aiutato dal partner?)
Il terzo livello affronta le tematiche familiari su un asse trigenerazionale, cioè esplora le storie dei genitori, il loro essere stati a loro volta figli, le modalità relazionali sperimentate in infanzia e adolescenza, che li hanno in qualche modo condizionati e che riaffiorano in maniera più o meno consapevole (ad esempio: quando un genitore non riesce ad essere autorevole, quanto ha a che fare con la gestione del conflitto nella sua famiglia d’origine? Quali paure riaffiorano? Quanto vuole discostarsi dalla modalità dei propri genitori e quanto vuole riproporla?).
Questo ultimo livello è chiaramente il più difficile e non sempre viene trattato, tuttavia è anche quello che muove cambiamenti più profondi e più duraturi poiché oltre a discutere su “cosa fare” e su “cosa si prova”, i genitori possono ripercorrere la propria storia, trovando nuovi significati e sperimentando una genitorialità più libera e consapevole.
Per approfondire: La psicologia di “Controluce”: i suggerimenti delle esperte contro il “disagio del sé”