Pubblicato il: 04/02/2014 alle 12:22
Il generale Mario Mori, citato a testimoniare al processo in corso davanti alla corte d'assise di Caltanissetta per la strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L'ufficiale è stato convocato in qualità di imputato di procedimento connesso essendo sotto processo a Palermo nell'ambito del dibattimento sulla trattativa Stato-mafia. La qualità di imputato di procedimento connesso consente al generale di non rispondere, scelta che non avrebbe potuto fare in veste di semplice testimone. Stessa decisione ha preso l'ex numero due di Mori al Ros, Giuseppe De Donno.
Mori e De Donno sono stati citati a deporre sui loro incontri con l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino avvenuti a partire da giugno del 1992. Per i magistrati i carabinieri avrebbero avviato una trattativa con Ciancimino finalizzata a stabilire contatti con Cosa nostra e ottenere la cessazione della strategia stragista che aveva portato all'eccidio di Capaci. Nella ricostruzione accusatoria Borsellino sarebbe stato eliminato proprio perchè era venuto a conoscenza della trattativa e si era fermamente opposto alla sua prosecuzione.
CONTRI: MORI NON MI PARLO' DI TRATTATIVA. «Mori non mi parlò mai di trattativa nè mi accennò mai al fatto che qualcuno potesse avere tradito la sua fiducia». Lo ha detto l'ex segretario generale di Palazzo Chigi Fernanda Contri che ha deposto davanti alla corte d'assise di Caltanissetta al processo sulla strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Imputati i boss Salvo Madonia, e Vittorio Tutino e i falsi pentiti Francesco Andriotta, Calogero Pulci, Vincenzo Scarantino autori di un depistaggio costato l'ergastolo a 8 innocenti. La trattativa Stato-mafia scoperta e avversata da Borsellino, nella ricostruzione dei pm, sarebbe il movente dell'eccidio di via D'Amelio. Contri venne nominata dall'allora presidente del Consiglio Giuliano Amato segretario generale e prese servizio l'uno luglio del 1992.
La teste ha ricostruito alcuni suoi incontri con il generale Mario Mori, all'epoca vicecomandante del Ros. Il primo avvenne nell'agosto del 1989 dopo il fallito attentato all'Addaura a Giovanni Falcone. «Cercai Mori per chiedergli se sapeva qualcosa dell'attentato – ha detto – e per capire come era potuta nascere la voce che Falcone quell'attentato se l'era fatto da solo, voce diffusa subito dopo la scoperta del tritolo».
«Mori – ha aggiunto – escluse che quella voce fosse fondata». Successivamente Contri vide l'allora colonnello nel 1992, il 22 luglio, a pochi giorni dall'uccisione di Paolo Borsellino, e il 28 dicembre. «A luglio – ha detto – quando non erano stati ancora celebrati i funerali di Borsellino cercai Mori per cercare di capire come era possibile che a meno di due mesi dalla strage di Capaci la mafia avesse colpito di nuovo. Mi pareva una cosa del tutto nuova nella strategia mafiosa. Gli chiesi se sapeva qualcosa e lui mi disse che era troppo presto per arrivare a conclusioni. Eravamo entrambi sconvolti».
«Non ricordo – ha aggiunto – se in quella circostanza o a dicembre, in occasione dell'altro incontro, mi disse che stava incontrando Ciancimino e che secondo lui non era solo uno dei capi della mafia ma che poteva essere il capo di Cosa nostra. Non mi parlò mai di una trattativa in corso. Ebbi l'impressione di un rapporto che stava per cominciare».