Pubblicato il: 18/05/2022 alle 13:15
“La falsità e la reticenza dei testi di questo processo, i loro 'non mi ricordo', danno la dimostrazione che la finalità del depistaggio era quella di coprire i veri esecutori della strage. Non si possono non ricordare fatti di una certa gravità. Non mi si può venire a dire che dopo 20 anni non si possono ricordare. Perché si parla di fatti riportati dai media, nazionali e locali. E’ letteralmente impossibile non ricordare. Quante volte il pm chiede ‘scusi ma lei ha firmato qualcosa?’. Nessuno sa se c’erano verbali”. Lo ha detto l’avvocato Giuseppe Scozzola, legale di Gaetano Scotto, una delle dieci persone accusate ingiustamente della strage di via D'Amelio e adesso parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini, durante la sua arringa nel processo che si celebra a Caltanissetta, dinanzi al tribunale collegiale presieduto dal giudice Francesco D'Arrigo.
“L’assenza del verbale durante il sopralluogo alla carrozzeria Orofino – ha aggiunto il penalista – ci dà l’idea che Scarantino non sapeva nulla di dove fosse l’autocarrozzeria”. Uno dei passaggi dell'arringa è stata la mancata redazione del verbale di sopralluogo eseguito da Vincenzo Scarantino in via Messina Marine per il riconoscimento della carrozzeria di Giuseppe Orofino. Quest’ultimo fu accusato di essersi procurato la disponibilità delle targhe e dei documenti di circolazione e assicurativi falsi che furono apposti sulla 126 utilizzata come autobomba per la strage per consentirne la sicura circolazione e la collocazione sul luogo della strage. “Io capisco e comprendo tutto – ha continuato Scozzola – ma che dei poliziotti vengano qui e cerchino di dare risposte che sono dei “non ricordo” perché non corrispondono alla realtà fa ancora più rabbia a noi parti civili, rispetto a quello che all’epoca è accaduto. Scarantino non ha riconosciuto il posto perché non lo conosceva. A Scarantino quel posto è stato volutamente indicato”.
Imputati del processo sono tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo “Falcone-Borsellino” della Squadra Mobile di Palermo, accusati di aver indotto, mediante minacce e pressioni, il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. La procura di Caltanissetta nelle scorse udienze ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Bo e a 9 anni e 6 mesi ciascuno di Mattei e Ribaudo.