Pubblicato il: 16/01/2024 alle 17:29
“Sono del quartiere dell’Acquasanta e cresciuto nella famiglia mafiosa dell’Acquasanta finché ne sono diventato il rappresentante. Poi sono diventato capomandamento di Resuttana nel dicembre del 2012. Io sono nato in una famiglia mafiosa, mio padre era Vincenzo Galatolo. Già all’età di 10 anni facevo la sentinella per vedere chi entrava nel nostro covo”. Comincia così il racconto di Vito Galatolo, oggi sentito in collegamento da un luogo segreto, nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta. In aula il suo avvocato Fabrizio Di Maria.
“Facevo di tutto – ha continuato Galatolo rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla Procura – ospitavamo le persone, nascondevamo armi. Crescendo mi sono occupato anche degli affari di famiglia”. Una carriera, quella dell’ex boss, iniziata fin da quando era bambino come lui stesso ha raccontato.
Nel dibattimento, che si celebra a Caltanissetta, sono imputati tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di aver imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sull'eccidio. I tre imputati facevano parte del gruppo investigativo Falcone-Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera. La Corte d’Appello, presieduta da Giovanbattista Tona, ha disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale e l'esame dei collaboratori di giustizia Vito Galatolo e Francesco Onorato, quest’ultimo era stato sentito nella scorsa udienza.