Pubblicato il: 16/03/2015 alle 08:41
Quando pensiamo alla psicoterapia, forse influenzati da film, vignette e “luoghi comuni”, subito ci viene in mente un lettino con il paziente che parla ininterrottamente e l’analista alle spalle.
In realtà la psicoanalisi, seppure sia uno dei modelli teorici più conosciuti, studiati ed efficaci di psicoterapia, non è l’unico modo di “fare terapia”.
Con il supporto della dottoressa Claudia Giammusso, psicologa e psicoterapeuta del centro di consulenza e terapia familiare cooperativa sociale Controluce nelle settimane precedenti abbiamo trattato la terapia di coppia e il sostegno alla genitorialità ma cosa ci viene in mente se parliamo di terapia familiare? Anche questa volta la dottoressa Giammusso chiarisce la questione spiegando che a primo impatto ci può sembrare strano immaginare una famiglia per intero in terapia forse perché siamo abituati a far coincidere il supporto psicoterapeutico con l’idea di malattia e l’idea di malattia con un singolo individuo portatore del problema.
La psicoterapia familiare essenzialmente capovolge queste idee: ovvero la malattia non appartiene al singolo, ma le difficoltà che una famiglia sperimenta spesso hanno a che fare con dei blocchi del sistema stesso, con l’impossibilità di comunicare, condividere, e di attivare, mantenere, proteggere cambiamenti.
La terapia familiare è infatti indicata in quei casi in cui il disagio ha a che fare con il funzionamento stesso della famiglia.
Particolarmente efficace risulta essere nei casi di disturbi alimentari, nei gravi disturbi psichiatrici, ma anche in situazioni di crisi evolutive in assenza di una vera e propria patologia; è il caso delle famiglie ricostituite, dove trattare i vari livelli di relazione è fondamentale per la buona riuscita del nuovo progetto familiare, o nei casi di adozione, dove è importante supportare tutti i membri del sistema nella costruzione della nuova identità familiare.
Inoltre è particolarmente arricchente utilizzare le sedute familiari per coinvolgere i bambini nel processo terapeutico, i quali, nella mia esperienza clinica, sono sempre i più “generosi” nell’offrire in seduta e in presenza di genitori e fratelli, ottimi spunti di riflessione che possano attivare cambiamenti.
Il terapeuta familiare condurrà le sedute in modo flessibile in base alla famiglia stessa: se sono presenti bambini è possibile che utilizzi il canale simbolico e non verbale (disegni, giochi etc.), mentre se ci sono solo adulti o adolescenti la seduta sarà di tipo conversazionale, dove particolare importanza avranno le domande, che danno la possibilità al terapeuta di esplorare le relazioni familiari, di offrire nuovi punti di vista.
Particolare importanza rivestono le domande definite “circolari” ovvero che coinvolgano tutti i membri e che attivino una comunicazione almeno triadica (es: Signora, cosa pensa vostro figlio quando vede che suo marito si irrita facilmente?… o ancora… Come pensi che la mamma vorrebbe che tu e papà miglioraste il vostro rapporto? Etc).
In tal senso ogni componente trae giovamento nell’ascoltare ciò che gli altri pensano di lui, nel fare esperienza di nuovi punti di vista; e la famiglia è supportata a interrogarsi su tematiche che probabilmente ha sempre ritenuto importanti ma che non ha mai saputo come trattare e spesso nella risposta alle domande è contenuta una possibile soluzione, per cui il ruolo del terapeuta in questi casi è quello di attivare pensiero, stimolare la comunicazione, la condivisione, aprire al cambiamento e prendersi cura di questo.
Per approfondire: La psicologia di “Controluce”: i suggerimenti delle esperte contro il “disagio del sé”