Pubblicato il: 08/03/2024 alle 08:04
Nel cuore della Sicilia esiste un fiume che non conosce siccità. È il fiume della retorica che da sempre attraversa i grandi temi: dalla fuga dei giovani, allo spopolamento, ai drammi materiali e morali di questa nostra terra. Intanto sono ormai trascorsi quasi trentacinque anni dalla fatidica chiusura della miniera di “Bosco”: un evento che ha rappresentato uno spartiacque storico e ha segnato profondamente il destino del nostro popolo.
Correva l’anno 1989 quando, con la chiusura dell’impianto di estrazione del sale potassico, veniva sancita non solo la rinuncia alla vocazione industriale di questo territorio ma anche la definitiva rinuncia a una reale prospettiva di sviluppo del suo tessuto economico e sociale. Negli anni successivi non è stato messo in atto nessun intervento volto alla manutenzione ed alla riqualificazione del sito: tutto è rimasto in preda ad un irreversibile processo di abbandono e di degrado che a lungo termine ha reso ormai impossibile anche una eventuale riconversione dal punto di vista dell’archeologia industriale.
Ogni tanto, però, un annuncio, giusto per tenere a bada gli animi, e poi, come al solito, nessuna azione concreta. Tutto rimane com’è e come è sempre stato. Ora siamo tutti consapevoli che sull’asse promessa-delusione si è retta, ciclicamente, la storia degli ultimi decenni di questa terra. Riguardo la questione “Bosco”, invece, la politica si è purtroppo superata, sottovalutando ed estromettendo completamente dal dibattito una di quelle criticità che avrebbe dovuto rappresentare la priorità di ogni agenda di governo.
Su questa vicenda tutte le forze politiche avrebbero dovuto trovare la sintesi e battere il pugno perché la mancata bonifica della miniera “Bosco” di San Cataldo ha rappresentato, e purtroppo rappresenta ancora, una minaccia alla salute dei cittadini ed un impedimento alla rigenerazione di questo territorio. Fa troppo male, infatti, il silenzio di buona parte della politica al riguardo: come se dovessimo quasi accettare, supinamente, che questo fatto avvenga, che le fibre di cemento amianto volino libere nell’aria, senza meravigliarci più di tanto: come se ormai questo problema fosse entrato a far parte del nostro modo di vivere.
E fa ancora più male pensare che, negli ultimi anni, se non fosse stato per la tenacia di alcuni soggetti ed al meticoloso lavoro di diverse associazioni impegnate in prima linea nella battaglia per la bonifica, il problema stesso sarebbe stato inghiottito dal vortice del disinteresse. Ora se il governo regionale ha le capacità per smentire queste mie considerazioni, se ha la pretesa di essere migliore dei predecessori, venga e ce lo dimostri con atti concreti: se lo farà verrà apprezzato, viceversa, prenderemo atto per l’ennesima volta della sua inconsistenza politica.
Questo “Vallone” di figli ne ha persi abbastanza e non possiamo permetterci di continuare a vivere ed a convivere con questa minaccia. Non è più il momento per prendere tempo: è l’ora che la Regione siciliana si occupi anche della bonifica di questo sito dismesso. Perché se lo stato delle cose non dovesse cambiare vorrà dire che ci mobiliteremo e non ci fermeremo fin quando non otterremo risultati tangibili. A chi vuole speculare sulla rassegnazione di questi luoghi risponderemo con la grande voglia di riscatto di questa gente.
Daniele Territo, Presidente del Consiglio comunale di Serradifalco.