Siamo l'unico grande paese d'Europa a non avere subìto attentati negli ultimi 15 anni: c'entrano un jihadismo disorganizzato e l'efficacia del nostro antiterrorismo, scrive oggi Elena Zacchetti sul sito ilpost.it. Dopo gli attentati recentissimi di Parigi, Bruxelles, Nizza e ora anche Berlino – e quelli precedenti di Madrid e Londra, tra gli altri – in molti si chiedono come sia possibile che negli ultimi 15 anni l’Italia sia rimasta fuori dagli obiettivi di gruppi terroristici islamisti. Questo non vuol dire che non ce ne saranno, ovviamente: gli esperti dicono da anni che è in discussione il “quando” e il “dove”, non il “se”, ma anche quando avverrà resterà vero che l’Italia sarà di gran lunga l’ultimo grande paese dell’Europa occidentale a essere colpito. Dopo gli attentati dell’ultimo anno e mezzo, la minaccia terroristica in Europa è stata principalmente associata allo Stato Islamico (anche se, per esempio, l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi fu compiuto da due uomini legati ad al Qaida). Diversi si sono quindi stupiti della capacità dello Stato Islamico di fare ancora attentati in Europa, viste le continue sconfitte militari subite dal gruppo in Iraq, Siria e Libia. Questa premessa è utile per capire di che tipo di terrorismo si sta parlando e di cosa dovrebbe preoccuparsi anche l’Italia. Gli attentati rivendicati dallo Stato Islamico non sono stati tutti pianificati e diretti dai vertici del gruppo: alcuni sì, come gli attacchi di Parigi del novembre 2015; altri no, come quelli compiuti dai cosiddetti “lupi solitari”, cioè persone che si sono radicalizzate con il materiale di propaganda diffuso su Internet e che hanno agito in autonomia, semplicemente ispirandosi all’ideologia jihadista dello Stato Islamico, particolarmente aggressiva nei confronti dell’Occidente. Finora l’intelligence italiana ha ritenuto più probabili in Italia gli attentati dei “lupi solitari”, quelli della seconda categoria, anche se non si possono escludere del tutto attacchi più organizzati. In genere il lavoro dell’antiterrorismo italiano è considerato molto buono, probabilmente anche per la storia particolare dell’Italia e i molti anni di esperienza nella lotta al terrorismo interno, di destra e di sinistra, e a organizzazioni mafiose, come la camorra. Le cose che ancora non funzionano. Il fatto che l’Italia non abbia ancora subìto grandi attentati terroristici di ispirazione islamista non significa che le cose funzionino alla perfezione, o che non ci sia niente che si possa fare meglio. Oggi le cose migliorabili sembrano essere principalmente tre. La prima, ha scritto Bruno Megale, ex dirigente della sezione antiterrorismo della Digos e oggi questore di Caltanissetta, è la mancanza di investigatori di provenienza maghrebina, balcanica e mediorientale, mancanza che invece non si riscontra in molti altri paesi europei. Secondo Megale sarebbe importante avere investigatori che conoscono bene i posti da cui provengono la maggior parte dei jihadisti che operano in Italia, per poter capire meglio i loro motivi e i loro comportamenti. Il secondo problema, ha scritto Leonardo Lesti, sostituto procuratore presso il tribunale di Milano, riguarda la difficoltà di interpretare alcune norme sul terrorismo: per esempio, quando si può parlare di auto-addestramento di un potenziale jihadista, un reato oggi punibile dalla legge? Quante volte si deve guardare un video di propaganda dello Stato Islamico affinché si possa parlare effettivamente di auto-addestramento? Èun problema che si è trovata ad affrontare la giurisprudenza, spesso però senza avere le conoscenze e gli strumenti adeguati per decidere con competenza. Il terzo problema, ha scritto Lorenzo Vidino, riguarda la quasi totale mancanza di politiche di prevenzione della radicalizzazione e quelle per la de-radicalizzazione di persone che sono già state indottrinate (centri che favoriscano il dialogo interreligioso, per esempio, o strutture con personale specializzato che aiuti le persone indottrinate a tornare a una vita “normale”). Per quanto riguarda la prevenzione, uno dei temi più discussi in Europa negli ultimi anni è stata la gestione dei carcerati considerati a rischio di radicalizzazione: molti degli islamisti radicali che hanno partecipato agli attentati in Europa si sono radicalizzati in carcere, per esempio dopo essere entrati in contatti con persone condannate per terrorismo (il principale sospettato dell’attentato di Berlino aveva trascorso quattro anni in prigione in Italia: per il momento è un’informazione da prendere con le molle, ma potrebbe anche rivelarsi rilevante).
Al seguente link l’articolo completo https://www.ilpost.it/2016/12/22/terrorismo-jihad-isis-italia/
Terrorismo, perché in Italia finora è andata bene: il parere del questore di Caltanissetta Bruno Megale
Lascia un commento
Lascia un commento