Pubblicato il: 19/05/2021 alle 17:42
«Quando fumavo hascisc me la prendevo con lui, perché mi ero convinto – me lo aveva detto mia madre – che mio figlio, il più piccolo, avesse il malocchio. Così, non so perché… ma mi facevo un casino di paranoie su di lui, mi svegliavo la notte fumato, lo svegliavo e lo massacravo di calci e pugni". Queste sono le parole di Alija Hrustic, 26 anni, colpevole di avere ucciso di botte il figlio di due anni e mezzo, davanti alla madre incinta e agli altri due figli. Le sue parole, che risultano agli atti, sono state lette in aula dalla pm Giovanna Cavalleri che ha chiesto per Hrustic una condanna all’ergastolo con nove mesi di isolamento diurno. La gran parte della requisitoria è stata dedicata alla ricostruzione del ruolo della madre, di 25 anni, parte civile nel processo, che quella mattina del 22 maggio 2019 fu ritrovata dai soccorsi in stato di choc di fianco al corpicino senza vita del piccolo.
«Prima del delitto, era totalmente dipendente da lui, non aveva un documento di identità, nè di residenza o cittadinanza, non aveva nemmeno il medico di base, tanto che quando i figli stavano male, anche solo per una banale febbre, lei li doveva portare al pronto soccorso". Circa un mese prima dell’omicidio, ha ricostruito il magistrato, la donna aveva visto Hrustic "mentre picchiava il bambino con una cintura sulla schiena" e aveva chiamato il numero unico per le emergenze, per poi riattaccare dopo pochi squilli. "Quando i soccorsi l’avevano richiamata, aveva risposto Hrustic dicendo che erano state le bambine a telefonare". La donna, difesa dall’avvocato Patrizio Nicolò, oggi vive in una comunità insieme al figlio che aspettava all’epoca del delitto (è nato a ottobre 2019) ed è stata separata dalle altre due figlie, anche loro in comunità, e dal figlio maggiore che si trova in Croazia affidato ai nonni.
«All’epoca del delitto – ha spiegato ancora Cavalleri – la donna era totalmente isolata, e completamente assoggettata alla famiglia del marito che le diceva, anche dopo che era stato arrestato, di rispondere alle lettere che lui le mandava dal carcere", ha aggiunto la pm. Come ha ricostruito l’accusa, la suocera le avrebbe detto: "Lui ti ama, oggi è disperato, e se si ammazza in cella, sarà colpa tua". "Solo dopo la nascita del suo ultimo figlio – ha concluso la pm – questa donna è riuscita finalmente a uscire da quel contesto sociale degradato e culturalmente molto arretrato che la costringeva ad essere vittima lei stessa". Si torna in aula il 25 maggio per la sentenza.(Il Giorno.it)