Pubblicato il: 30/01/2014 alle 11:28
“Per cosa nostra i militari dell'Esercito non sono considerati sbirri. Uno zio di Toto' Riina era maresciallo dell'esercito. E io fin dalla fine degli anni Sessanta avevo rapporti e frequentavo un colonnello dell'esercito applicato alla Presidenza del Consiglio. Lo avevo conosciuto frequentando il generale Vito Miceli (ex capo del Sid dell'epoca) e anche il colonnello Santovito. Con quest'ultimo avevo un rapporto piu' di amicizia: quando andavo a Roma, ci vedevamo e andavamo spesso a pranzo assieme”. Cosi' il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo nel processo per la trattativa Stato-mafia, spiega il suo ruolo in seno a Cosa nostra fino al 1980 e in particolare le sue relazioni con rappresentanti delle istituzioni, e dei servizi segreti in particolare, “per controllare tutto”. Di Carlo sostiene che Santovito, direttore del Sismi era consapevole, quando si incontravano, che lui fosse latitante.
Gaetano Badalamenti, detto il “boss dei due mondi”, invece presento' a Di Carlo Nino ed Ignazio Salvo, i potenti esattori originari di Salemi: Nino divento' addirittura sottocapo della cosca locale. “L'ultimo incontro fu nel 1983 a Roma. Avevano alcuni problemi. Loro erano molto intimi con Stefano Bontade, stravedevano per Badalamenti. E io gli consigliai di avvicinarsi a Totuccio Riina”, dice Di Carlo. Di Salvo riferisce poi sull'attentato contro il giudice Rocco Chinnici che era, afferma, “il primo rivale di Cosa nostra”. Secondo il pentito, “in particolare Nino Salvo faceva come un pazzo. Ha chiesto a Michele Greco di farci il favore su Chinnici”. Salvo, all'epoca potente gestore delle esattorie in Sicilia e legato alla mafia, nella versione di Di Carlo, avrebbe chiesto di fare assassinare il giudice. “Greco -aggiunge il pentito- non faceva nulla senza parlare con Riina: io ero presente alla Favarella, quando Nino Salvo, incontro' Michele Greco per chiedere l'intervento di Cosa nostra”.