Pubblicato il: 01/03/2025 alle 12:29
(Adnkronos) – Del clamoroso confronto di venti minuti nello Studio Ovale alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky resteranno alla storia frasi mai ascoltate prima in un confronto fra leader e toni mai così lontani dalle abitudini diplomatiche. Si è parlato, comprensibilmente, di fine della diplomazia, di agguato premeditato, di cinica strategia negoziale. Ci sono però almeno tre punti chiave emersi dallo scontro di venerdì che costituiscono un vero e proprio capovolgimento della realtà. Il primo, il più evidente, riguarda lo spazio negoziale dell'Ucraina e del presidente Zelensky. Quel 'non hai carte da giocare' ripetuto più volte è per Donald Trump la premessa per arrivare a sostenere che si può arrivare alla pace solo attraverso la resa, di fatto incondizionata, di Kiev. L'accordo è sul tavolo ma è scritto secondo le condizioni concordate con Vladimir Putin direttamente da Trump. All'Ucraina non resta che una possibilità: accettare. E, come conseguenza, la fine della guerra a qualsiasi condizione, anche quelle imposte da Putin. Non conta quello che è accaduto dal 24 febbraio 2022 in poi, non contano i morti, non conta la devastazione, non conta la sofferenza di un intero popolo schiacciato dalla potenza militare di un invasore. Il secondo, che al primo si lega sia come causa sia come effetto, riguarda il ruolo degli Stati Uniti. 'Senza di noi, sei finito', è il senso di una serie di frasi che partono da una guerra che sarebbe finita in due settimane senza l'appoggio degli Stati Uniti, passano per la rinnovata censura al sostegno, economico e militare, garantito dall'amministrazione Biden a Kiev, e arrivano allo snodo principale della svolta trumpiana: la Casa Bianca è un arbitro tra Russia e Ucraina, non esiste più un aggressore e un aggredito. Saltano, nella rappresentazione trumpiana della realtà, tutte le ragioni che per tre anni hanno spinto l'Occidente a stare dalla parte dell'Ucraina e di Zelensky. Il terzo punto chiave riguarda il ruolo dell'Europa. Semplicemente, nella rappresentazione che va in scena nello studio Ovale, non esiste. Non c'è spazio, nell'approccio sempre più orientato a una transazione commerciale del tycoon americano, per il disturbo di un terzo soggetto che non siano i due giocatori e l'arbitro. Come se non ci fosse di mezzo l'elemento geografico e geopolitico a definire gli interessi strategici ed economici di un intero continente. Come se la sicurezza dell'Europa non sia strettamente legata a come finisce la guerra in Ucraina e cosa sarà della libertà di movimento di Putin. Come se l'Ucraina non fosse un pezzo di Europa invaso da chi l'Europa la vorrebbe in buona parte riassorbita in un perimetro che possa riprodurre lo spazio dell'Unione sovietica. Quello che non è successo, la mancata firma dell'accordo sulle terre rare, rappresenta bene il senso di quello che è successo. La firma su quell'accordo, nella testa di Trump, doveva essere la firma sua una resa incondizionata. Il primo passaggio necessario a consegnare il destino dell'Ucraina prima nelle sue mani e poi, in una estensione a quattro mani, in quelle sue e di Putin. Con l'Europa a guardare. A partire dal vertice di Londra di domani, l'Occidente senza Stati Uniti, con l'Europa e il Regno Unito a guidare, dovrà provare a cercare e trovare una risposta. (Di Fabio Insenga) —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)