Pubblicato il: 21/10/2014 alle 10:30
Lo aveva dichiarato subito dopo la lettura della sentenza emessa dalla Corte d’assise di Udine, lo scorso 12 aprile, e lo ha ribadito anche per tutto il tempo finora trascorso in carcere: non avrebbe ricorso in appello Vincenzo Manduca, il macellaio di 27 anni originario di Niscemi e da anni residente a Forlì reo confesso dell’omicidio di Lisa Puzzoli, sua ex compagna e madre della loro bambina, uccisa all'età di 22 anni con nove coltellate sull’uscio di casa, il 7 dicembre del 2012.
Non avrebbe impugnato, cioè, la condanna all’ergastolo che gli è stata inflitta per l’omicidio, aggravato dalla premeditazione, oltre che per i reati di stalking e lesioni personali, ingiurie, minacce e porto di coltello e per tentata sottrazione di minore, di cui era stato parimenti ritenuto colpevole.
Così aveva giurato. E invece, il processo in appello si farà. E ad assisterlo, davanti a una nuova giuria popolare, sarà l’avvocato Fabio Schembri, del foro di Milano, il legale che in secondo grado difende già Rosa Bazzi e Olindo Romano, i coniugi condannati a loro volta all’ergastolo per la strage di Erba dell’11 dicembre del 2006. Convincerlo a ritornare sui propri passi non è stata cosa facile.
Lo sa bene l’avvocato udinese Manuela Pasut, che, di fronte all’ennesimo “niet” all’impugnazione, ha rinunciato alla sua difesa, proprio a causa dell’insanabile «incompatibilità sulle scelte processuali» venutasi a determinare con il cliente. E altrettanto vani sono risultati i tentativi degli altri professionisti attraverso i quali la famiglia di Manduca aveva tentato di fargli cambiare idea. Alla fine, a spuntarla è stato il legale milanese. Che, praticamente sul fotofinish, è riuscito a presentare alla Corte triestina l’istanza di appello.
Senza quella richiesta, da oggi la condanna al carcere a vita di Manduca – nel frattempo trasferito a Verona – sarebbe passata in giudicato. Diventando quindi – caso più unico che raro in Italia – definitiva, senza passare prima attraverso almeno un secondo grado di giudizio. «Il cliente aveva tutta una sua teoria, una strategia processuale che non potevamo condividere – ha detto l’avvocato Schembri -. Èstata una sentenza estremamente ingiusta. In appello, chiederemo di riconoscere l’attenuante dello stato d’ira e le generiche e ribadiremo la necessità di una perizia psichica che il tribunale di Udine aveva negato. Non si trattò di un delitto legato alla gelosia – ha concluso -, ma di una tragedia maturata in ben altro ambito: nei loro ultimi due anni di guerra giudiziaria, il solo obiettivo di Manduca era di portarsi via la figlia per proteggerla».