Pubblicato il: 10/10/2013 alle 09:16
“Mi massacrano, mi fracassarono. Un poliziotto mi fece sbattere la testa a terra mentre io piangevo”. Ha sostenuto così in aula di essere stato picchiato dopo il suo arresto Salvatore Candura, ex collaboratore di giustizia sentito oggi dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo “Borsellino quater”. Arrestato il 5 settembre del 1992 con Luciano e Roberto Valenti per violenza sessuale, Candura ha detto di essere stato malmenato perchè l'allora dirigente della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, voleva fargli confessare il furto della 126 utilizzata poi come autobomba per la strage di via d'Amelio, oltre che la violenza sessuale. “Sarò la tua ossessione, mi diceva Arnaldo La Barbera. Ti farò dare l'ergastolo. Ti incastreroò perchè ho le prove”, ha riferito Candura.
“Io -ha raccontato il teste- continuavo a proclamarmi innocente. Con il furto della 126 non c'entravo nulla così come non c'entravo nulla con l'accusa di violenza sessuale. Ero un galantuomo e mai e poi mai avrei potuto abusare di una ragazza così come non sapevo nulla di quella 126”. Secondo quanto ha riferito Candura, che all'epoca rubava auto su commissione dei fratelli Scarantino, e in particolare di Vincenzo, il falso pentito di via D'Amelio, la proprietaria della Fiat 126, Pietrina Valenti (sorella dei due indagati per violenza sessuale con l'ex pentito), dopo aver subito il furto dell'utilitaria si rivolse appunto a lui perche' gliela facesse ritrovare. “Quell'auto -ha detto il teste- la cercai dappertutto. Quando dissi a Pietrina Valenti di non averla trovata lei mi minacciò, sostenendo che si sarebbe recata dai carabinieri e mi avrebbe accusata del furto della sua auto”.